La dimensione europea

di Matteo Bortolon da Il Manifesto del 7 marzo 2015

Il braccio di ferro del nuovo governo greco con le autorità europee viene seguito con estrema attenzione da tutta Europa. Essenzialmente per due motivi: primo, per un eventuale effetto domino elettorale in altri paesi; secondo, perché può essere visto come il punto di rottura dell’intero sistema di potere europeo, considerando il grado di interconnessione fra i paesi dell’UE e in particolare dell’eurozona.

Il caso singolo non deve distogliere dal quadro generale. A ricordarcelo sono due ampi studi usciti di recente. Uno è il maestoso ma scorrevole False Dilemmas. A critical guide to the eurozone crisis da parte di Corporate Watch. Il secondo è un rapporto della Caritas europea, Poverty and Inequalities on the rise.

L’ampio studio del gruppo britannico, dedito all’analisi dell’impatto dei poteri globali sull’ambiente e sui diritti sociali, riassume il meccanismo del capitalismo finanziario e le sue conseguenze sul sud d’Europa. Vengono approfonditi i casi di Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Cipro. I punti essenziali della cornice generale sono i seguenti. Il processo di integrazione europea ha facilitato il trasferimento di ricchezza e potere dai poveri ai ricchi attraverso il debito e le relazioni commerciali. Lo squilibrio economico fra i paesi è stato ampliato a causa della struttura del’eurozona e con le risposte alla crisi. I debiti privati sono stati nazionalizzati creando enormi problemi per i bilanci pubblici; tuttavia le narrazioni dominanti hanno sostenuto una linea che ha comportato l’aumento dei debiti sovrani imponendo al tempo stesso un più elevato grado di disoccupazione e una drammatica diminuzione degli standard sociali delle popolazioni. Un passo verso la giustizia economica e sociale sarebbe la cancellazione di questi debiti il cui fardello andrebbe addossato ai veri responsabili. Come banche e istituzioni finanziarie che avendo provocato l’indebitamento e avendo contribuito a creare la crisi, se ne sono approfittate per guadagnarci scommettendo sui default sovrani e beneficiando dei salvataggi bancari. La possibilità di trarre profitti futuri viene assicurata dalla riorganizzazione del panorama internazionale per promuovere il business.

Caritas invece si incentra sulle direte ricadute della austerità europea – non della crisi, si badi bene – sui gruppi più vulnerabili: bambini, famiglie, donne. Similmente, dopo una analisi del contesto generale presenta specifici capitoli sui paesi più colpiti – a quelli considerati da Corporate Watch aggiunge Italia e Romania. Un indicatore significativo è la percentuale di popolazione a rischio di povertà che nell’UE a 28 paesi sfiora il 25%. I paesi considerati presentano nel dettaglio: Cipro 27,8%, Grecia 35,7%, Italia 28,4%, Portogallo 27,4%, Spagna 27,3%, Romania 40,4%… Drammatico la discesa dei valori in Spagna secondo una pubblicazione del Center for Economic and Social Rights. Con la crisi e le misure austeritarie le persone a rischio indigenza sono salite di 3 milioni, la precarietà lavorativa investe il 44% della popolazione, un quarto dei bambini è a rischio di malnutrizione; mentre i tagli alle spese sociali sono incredibili: -17% sanità, -34% educazione, – 77% per la violenza di genere, spesa farmaceutica -28%. Secondo questo report – divulgato in prossimità dell’esame delle politiche del governo spagnolo fra 2010-2014 sulla tutela dei diritti sociali – la Spagna è diventata uno dei paesi più diseguali dell’Unione in tempi rapidissimi. La sua recente radicalizzazione politica non dovrebbe quindi stupire. Ci dovremmo stupire piuttosto di paesi in condizioni abbastanza simili in cui ciò non accade…