Al 31 dicembre 2016, il debito pubblico italiano è risultato pari a 2.217,7 miliardi, con un rapporto debito/Pil pari a 132,8%. Si tratta, a dispetto dei proclami di tutti i governi sulla priorità assoluta della riduzione del debito pubblico, di una continua ascesa, che, se collocata nel medio periodo, corrisponde ad un innalzamento di 30 punti percentuali del rapporto debito/Pil negli ultimi 10 anni (102,7% a fine 2006).

Un debito alto che, tuttavia, non è stato una costante della nostra economia.

Nel periodo 1960-1981 il nostro rapporto debito/pil è stato costantemente sotto il 60%, mentre è praticamente raddoppiato nel periodo 1981-1994 passando dal 58,46% al 121,84%., salendo progressivamente da allora sino ai valori attuali.

 

Poiché oggi il debito è additato come il problema dei problemi, ai cui vincoli vanno sacrificati tutti i diritti e ogni bene collettivo, diviene necessaria la riappropriazione collettiva delle conoscenze intorno allo stesso.

Si tratta, di fatto, di portare alle estreme conseguenze la trappola per la quale il debito delle banche private è stato trasformato in debito pubblico degli Stati ed è stato da questi scaricato sui cittadini.

Se il debito è diventato pubblico e i cittadini sono chiamati ad onorarlo, allora devono essere questi ultimi a conoscerne gli estremi e soprattutto a decidere che farne.

In questo senso l’audit del debito diviene un obiettivo prioritario per rendere di pubblica conoscenza l’entità del debito, con chi è stato contratto, per quali motivazioni ed interessi, attraverso quali procedure legali e quali percorsi decisionali.

 

Poiché è raro che siano i governi e le istituzioni ad avviare l’auditoria sul debito, occorre che questa venga innanzitutto messa in campo come indagine autonoma, indipendente e popolare da parte dei movimenti attivi ed organizzati nella società.

Questo è un passaggio esiziale per l’esito delle lotte messe in campo dai movimenti stessi, perché se le conflittualità aperte si limitassero a rivendicare diritti, lasciando che il quadro delle risorse -necessarie all’esigibilità dei diritti stessi- sia disegnato dai poteri dominanti, ogni lotta rischia di esprimersi con una grande generosità ma di doversi poi confrontare con altrettanta inefficacia.

La sola idea di un audit popolare sul debito fa inorridire le grandi lobby dei poteri finanziari, le quali – nel più classico stile degli usurai – sono meno interessate all’effettivo saldo di quanto “dovuto”, che non al mantenimento della catena che lo stesso pone alle rivendicazioni di reddito, beni e servizi delle popolazioni.

 

Naturalmente, l’annullamento del debito va considerato un obiettivo politico, per raggiungere il quale occorrono una grande consapevolezza sociale e forti mobilitazioni popolari, che consentano l’attuazione di una moratoria immediata sul pagamento degli interessi sul debito, l’avvio dell’analisi popolare dello stesso, il rifiuto del pagamento della parte dichiarata illegittima e odiosa, la ristrutturazione della parte rimanente.

Un percorso lungo, ma necessario per non consegnare il nostro futuro alle banche.