La necessità di un centro studi nasce dalla constatazione di come l’economia del debito sia la forma assunta dal capitalismo nella sua fase della finanziarizzazione spinta.
Di conseguenza, dentro la dottrina neoliberale, la questione del debito non può essere affrontata solamente dal punto di vista economico, bensì come una vera e propria ideologia, una costruzione del mondo e una produzione di soggettività.
Sul debito è stata costruita la narrazione della paura collettiva e dell’angoscia individuale per poter approfondire le politiche di espropriazione dei diritti, e mettere a valorizzazione finanziaria beni comuni e servizi pubblici, riavviando così il processo di accumulazione.
La precarizzazione del lavoro, la vendita del patrimonio pubblico, la privatizzazione dei servizi pubblici locali e nazionali vengono giustificate come necessarie allo scopo di reperire le risorse per onorare il debito contratto. Ma un’attenta analisi può dimostrare come non siano le politiche liberiste di espropriazione necessarie al pagamento del debito, bensì sia quest’ultimo l’alibi necessario per poterle mettere in atto.
Di fatto, il debito è una forma di estrazione di valore -attraverso il pagamento degli interessi- e una forma di dominio sul presente e sul futuro degli assoggettati.
La forza dell’economia del debito sta nell’apparire come un contesto di libertà.
Non c’è bisogno di alcuna repressione o di alcun indottrinamento: i popoli indebitati rimangono formalmente liberi, ma la loro libertà si può esercitare solo dentro il vincolo del debito contratto, e attraverso stili di vita che non ne pregiudichino il rimborso.
La precarizzazione del lavoro, la privatizzazione dei servizi pubblici, la mercificazione dei beni comuni non sono estrazioni di valore dettate da brutali atti di forza e di potere, ma la “naturale” conseguenza di quel vincolo “liberamente” contratto.
Non solo. La costruzione ideologica dell’economia del debito serve anche come tecnologia securitaria finalizzata a disciplinare la società nel presente e nel futuro: la promessa di restituzione del debito travalica l’appropriazione del tempo di lavoro dell’epoca industriale e giunge al diritto di prelazione anche sul tempo non cronologico, sul futuro di ognuno e sull’avvenire della società nel suo complesso.
Mentre l’espropriazione attraverso la repressione violenta priva della libertà nel presente, ma lascia immutata la possibilità di un futuro riscatto, l’assoggettamento attraverso il debito, imponendo l’uniformità dei comportamenti futuri a quelli attuali, disciplina già oggi la società di domani, neutralizzando il tempo come creazione di nuove possibilità.
Contrastare l’economia del debito significa dunque decostruirne la narrazione, intervenendo con capacità di analisi sia sull’aspetto economico, sia sul versante della produzione di soggettività (il debito come colpa), sia infine sul crinale dell’espropriazione di diritti e di democrazia.