Un pensiero davvero unico
di Marco Bertorello – da Il Manifesto del 2 agosto 2013 –
Al momento dell’esplosione della crisi, ormai cinque anni fa, con la fase iniziale di panico per la sopravvivenza stessa del sistema economico fece capolino una certa ambizione a rivedere in profondità il sistema. L’instabilità che si produsse diede vita a un filone, almeno sul piano teorico, che considerava inevitabili delle riforme per superare efficacemente la fase critica.
A distanza di alcuni anni di tale ambizione al cambiamento non è rimasta che l’ombra. A esser precisi le spinte emersero prevalentemente nel mondo anglosassone, mentre furono decisamente più contenute nei paesi periferici. Oggi anche in Italia questi spazi sembrano definitivamente chiusi. Evitato il peggio, rinviati i problemi, si pensa addirittura di far ripartire gli ingranaggi con il medesimo carburante che li ha inceppati. A dare avvio a tale dibattito a metà luglio ha pensato il ministro Saccomanni in un seminario dal titolo significativo «Credit crunch, credit funds», organizzato dall’Università Cattolica di Milano.
In quella sede il ministro dell’economia ha sostenuto che non potrà esservi ripresa senza un deciso sostegno finanziario all’impresa e che proprio le restrizioni all’offerta di credito in corso rappresentano una delle principali criticità per la ripresa dell’economia reale. Per il ministro si tratta dunque di favorire, anche con strumenti fiscali (leggi agevolazioni), nuove forme di intermediazione finanziaria in sostituzione di quelle più tradizionali incentrate sul sistema bancario.
Il ministro ha aggiunto che per la PMI «dovranno essere rivitalizzate le cartolarizzzazioni». Qualcuno ha già coniato il curioso termine di «disintermediazione intermediata» per indicare la funzione di una molteplicità di soggetti che, a differenza delle banche, non sono sottoposti ai consueti controlli e dunque possono rilanciare il credito alle imprese. In effetti in questi anni di denaro facile immesso per oliare il meccanismo due sono stati i risultati: raffreddare la crisi dei debiti sovrani e cercare luoghi in cui investire la nuova massa monetaria in circolazione. Gli attori quindi esistono e sono pronti per nuovi affari.
Ma perché giocarsi la carta del sistema ombra che tanti danni ha arrecato negli ultimi anni? Saccomanni è stato esplicito, perché prodotti come i credit funds sono al di fuori del perimetro della regolamentazione e «potrebbero rivelarsi di supporto al rilancio dell’economia». Occorre “solo” che nell’allargamento della platea degli investitori dell’economia reale si creino adeguati assetti regolativi e di controllo. Da un lato il sistema ombra lo si vuole far tornare per la sua mancanza di eccesso di regolamentazione (non deve sottostare ai già blandi accordi di Basilea) e dall’altro lo si intende proprio regolamentare.
Il problema del cosiddetto credit crunch è fenomeno indubbiamente mondiale e il fatto che l’impresa italiana riceva oltre il 90% dei finanziamenti dalle banche spiega in parte le attuali difficoltà. Ma pensare di rivolgersi a quei veicoli finanziari che tanta parte hanno avuto nella crisi finanziaria dà conto del corto circuito in cui siamo precipitati e del tuttora incontrastato primato del pensiero unico.
Inoltre i soggetti ombra non solo hanno meno vincoli, ma hanno uguali se non maggiori appetiti, come spiega il fenomeno di finanziamento all’impresa che sta prendendo campo nel laboratorio Usa. Nell’epicentro della crisi, infatti, il tasso medio dei finanziamenti bancari è pari al 5.2% mentre gli Hedge fund mediamente hanno ottenuto 11.7% lo scorso anno. Difficile pensare che l’impresa tragga significativi vantaggi da un ulteriore rimescolamento con soggetti finanziari. Errare è umano, ma perseverare è diabolico.