Finanza per lo sviluppo o sviluppo della finanza?

America-Latina-un-modello-per-sconfiggere-la-povertà-320x165di Antonio Tricarico

In maniera fin troppo semplicistica si potrebbe pensare che i problemi con le banche e gli intermediari finanziari riguardino solamente le economie avanzate e quelle emergenti. In realtà gli sconquassi che la finanza produce non mancano anche tra i più poveri del cosiddetto Sud globale. Quegli stessi poveri che la cooperazione internazionale e la finanza per lo sviluppo dovrebbero aiutare a uscire dall’indigenza.

Al riguardo è davvero devastante l’ultima valutazione dell’Ombusdman interno al Gruppo della Banca mondiale, il Compliance Advisory Ombusdman, resa pubblica ieri. Il ramo della World Bank che eroga finanziamenti direttamente al settore privato – l’International Finance Corporation (Ifc) – oramai domina l’intera istituzione. Lo scorso anno, l’IFC ha prestato ben 18 miliardi di dollari principalmente a multinazionali e imprese che delocalizzano “in nome dello sviluppo dei più poveri”.
Più del 40 per cento dei prestiti sono stati veicolati tramite intermediari finanziari, ossia non solo banche, ma anche fondi di private equity che poi a loro volta prestano ai beneficiari ultimi, spesso in maniera poco trasparente. Si pensi che la stragrande maggioranza di questi fondi privati opera tramite paradisi fiscali, anche nei “progetti di sviluppo”.
Per l’Ombusdman l’Ifc “non ha una metodologia per determinare se la richiesta ai clienti di attuare un sistema di gestione ambientale e sociale raggiunga l’obiettivo fondamentale di non creare danno o di migliorare i risultati sociali e ambientali dei beneficiari”. Per la serie: con una mano si fornisce denaro agli intermediari e con l’altra ci si dimentica di vedere questi a chi prestano e se in linea con gli obiettivi dichiarati alla Banca mondiale.
Ma i valutatori indipendenti, pur se interni all’istituzione, rincarano la dose: “Le procedure dell’Ifc non sono disegnate per supportare risultati ambientali e sociali più ampi commensurati con il significativo ruolo di leadership dell’Ifc in quanto promotore della responsabilità sociale ed ambientale” a livello mondiale. Per i non addetti ai lavori: ma che banca mondiale per lo sviluppo dei poveri siete se quando prestate ai privati non pretendete tutto quello che invece domandate di fare al pubblico e ai governi?
Emblematico il caso del fondo di private equity Ethos, in cui nel 2007 l’Ifc ha investito 130 milioni di dollari “per lo sviluppo” e che sono stati investiti dalla stessa Ethos nella banca nigeriana Oceanic, poi è fallita dopo una sofisticato sistema di frode operato dall’ex-governatore dello stato del Delta, James Ibori, oggi in prigione a Londra per riciclaggio di denaro. In quel caso i “poveri” contribuenti nigeriani hanno pagato il salvataggio della Oceanic Bank ed è ancora poco chiaro se l’Ifc ci abbia perso dei soldi pubblici. In ogni caso nelle stanze dei banchieri di Washington non è stata effettuata nessuna revisione del caso.
L’Ombusdman stesso propone una via di uscita: “L’Ifc dovrebbe focalizzarsi sul facilitare un cambiamento culturale che si auto-alimenti tra i suoi clienti privati”. Eppure ci sarebbe una domanda a monte da porre all’Ifc ed ai governi suoi azionisti: ma perché prestare alle grandi aziende private e alle banche internazionali dovrebbe portare sviluppo per i più poveri del pianeta? Non sono proprio le banche globali e le multinazionali tra i principali responsabili del dramma dello sviluppo che viviamo? Ogni singolo cittadino, valutatore in proprio e finanziatore con le sue tasse della Banca mondiale, non deve fare certo tanta fatica per capire tutto ciò.