PRIVATIZZAZIONE POSTE: più complicato del previsto …

L’AD di Poste annuncia che entro luglio sarà diffuso il nuovo piano industriale. Possiamo aspettarci la consueta ristrutturazione che generalmente avviene alla vigilia di una privatizzazione. Ma in questo caso parliamo di un’azienda pubblica (sebbene di stampo privatistico) che rappresenta attraverso la sua rete di uffici e centri di recapito postale la più ampia diffusione di servizio alla popolazione.

In questi giorni, come avevamo previsto, la discussione tra il CDA di Poste e i referenti del governo si concentra sulle 2 questioni che stanno alla base del futuro piano industriale: quanto la CDP è disposta a pagare per la raccolta del risparmio attraverso libretti e buoni fruttiferi e la sempre più spinosa questione del servizio universale sia per la presenza di uffici che per il recapito della posta.

Sul primo nodo pare che CDP non voglia pagare a Poste 1,6 miliardi di euro come in passato, ma modulare tale costo in base alla produttività e in base a quanto sia l’ammontare della raccolta. Una forbice.

Sul secondo punto la questione diventa più complessa. Poste per svolgere il servizio postale universale su tutto il territorio nazionale riceve (o dovrebbe) dallo Stato una somma a copertura del deficit che tale servizio crea e che poste ha obbligo di fare. La cifra che Poste chiede oggi è di circa 700 milioni.

Su quale base la chiede ? Attraverso una proiezione aggiornata, calcolando la differenza tra il costo netto sostenuto per l’obbligo a svolgere il servizio universale e il costo netto privo dell’obbligo a svolgerlo. Il tutto lo si legge nel documento che l’AGCOM ha pubblicato e nel quale emergono spunti di analisi per il futuro. Poste nella sua proiezione per la richiesta del finanziamento dello Stato, mette in elenco alcuni dati relativi ai risparmi fatti senza l’obbligo del Servizio Universale:

– recapito quotidiano della corrispondenza solo nei centri metropolitani

– recapito a gg alterni nella provincia

– recapito 1 volta a settimana in aree a basso traffico e densità di popolazione (sud e isole)

– nessun servizio in 80 zone del paese.

Stessa proiezione sugli uffici postali che non creano profitti, con chiusura degli stessi. Il dato di riduzione è stimato nel 60%.

Già in passato ai vari economisti che spingevano per una privatizzazione di Poste fu risposto che per varie ragioni la privatizzazione di poste sarebbe stata più difficile del previsto. Il rischio che l’azienda corre nel tentativo di contenere i costi è che riduca anche le quote di mercato.

Aspettiamo di vedere il nuovo piano industriale.

Diego Vendemmiati (Forum finanza pubblica e sociale Torino)