La Banca Mondiale non ha visto arrivare la Primavera araba e raccomanda il perseguimento delle politiche che hanno prodotto le rivolte popolari

Di Eric Toussaint, traduzione di Giulia Piomponi

(CC – Flickr – D.I.Y Music)

Mentre la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale si congratulavano con i regimi autoritari o dittatoriali al potere nella regione araba da diversi decenni, il fuoco della rivolta divampava sotto la cenere. 

I principali rapporti ufficiali di queste due istituzioni riguardanti la Tunisia e l’Egitto, i due Paesi in cui è esplosa la rivolta popolare nel dicembre 2010 – gennaio 2011, elogiavano i successi del presidente Ben Ali (al potere da 24 anni) e del presidente Hosni Mubarak (al potere da quasi 30 anni). Questi due sovrani che applicavano le ricette neoliberali raccomandate dal duo BM e FMI e che erano alleati fedeli delle potenze occidentali sono stati costretti, a seguito della mobilitazione popolare, a lasciare il potere nel gennaio 2011. Dieci anni dopo, nessun documento ufficiale della Banca Mondiale consente di comprendere le radici profonde della rivolta.

Zine el-Abidine Ben Ali, presidente della Repubblica tunisina dal 1987 al 2011 (CC - Wikimedia)

La Banca non effettua alcuna analisi critica seria della propria cecità, ma produce invece studi pseudo-seri per giustificare la propria azione. La Banca Mondiale e il FMI si trovano di fronte a un problema evidente: se, come sostengono, la loro politica era quella giusta e ha solo bisogno di essere sviluppata ulteriormente, come si spiegano le profonde mobilitazioni popolari che dal 2011 hanno scosso quasi tutti i paesi della regione, dal Marocco allo Yemen e al Libano, con diversi gradi di intensità?

(Foto: Zine el-Abidine Ben Ali, presidente della Republica tunisina dal 1987 al 2011 – CC – Wikimedia)

Al momento in cui scriviamo, sono passati poco più di dieci anni da quando i cittadini hanno espresso la loro profonda insoddisfazione per gli effetti sociali, economici e politici delle ricette neoliberiste.

(Hosni Moubarak, président de la République arabe d’Égypte de 1981 à 2011 - CC - Wikimedia)

La contraddizione tra le previsioni della Banca e la realtà è stata tale che questa non è potuta rimanere in silenzio, ma si è dovuta impegnare in un esercizio di comunicazione per cercare di spiegare che non aveva previsto le rivolte. Tuttavia, ciò che ha prodotto non è stato affatto convincente. Riportiamo alcune citazioni che dimostrano che la Banca Mondiale si rifiuta di riconoscere che le politiche da essa raccomandate hanno giocato un ruolo significativo nei fattori che hanno provocato il malcontento popolare.

(Foto: Hosni Moubarak, presidente della Repubblica araba d’Egitto dal 1981 al 2011 – CC – Wikimedia).

In un comunicato stampa dell’ottobre 2015, la Banca Mondiale scrive: 

“Se guardiamo ai soli dati economici, le rivoluzioni della Primavera araba del 2011 non sarebbero mai dovute accadere. I dati del decennio precedente mostravano una situazione florida: la regione del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA) aveva compiuto progressi costanti nell’eliminazione della povertà estrema, nella condivisione della prosperità, nel miglioramento dei tassi di iscrizione scolastica e della situazione nutrizionale, nonché della mortalità infantile e materna. Le riforme erano in corso e la crescita era apprezzabile. Poi, a cavallo del 2011, milioni di persone sono scese in piazza nelle principali città della regione per chiedere un cambiamento e la “strada araba” ha dato inizio a uno scenario che gli indicatori quantitativi convenzionali non avevano previsto[1].”

La Banca Mondiale, che si rifiuta di riconoscere la sua profonda ignoranza delle realtà della regione araba, ricorre a distorsioni per cercare di spiegare perché milioni di persone sono scese in piazza nonostante il presunto successo delle politiche perseguite dai regimi autoritari in carica.

La spiegazione della BM è tutt’altro che convincente. Diversi critici di questa istituzione lo hanno dimostrato in modo rigoroso (vedi sotto). Riassumiamo le spiegazioni fornite della Banca.

Le finte spiegazioni della Banca mondiale

Il titolo che essa attribuisce al suo comunicato stampa di ottobre 2015 riassume il suo proposito: “Il malcontento della classe media alla base della Primavera Araba”. La Banca ribadisce che la povertà e le disuguaglianze erano in calo prima del 2011. A suo avviso, c’erano stati progressi “nella condivisione della prosperità”. La Banca Mondiale afferma che c’è stato “un miglioramento nei tassi di scolarizzazione e della situazione nutrizionale nonché della mortalità infantile e materna”. Secondo la Banca, è stata la classe media ad essere più insoddisfatta perché mentre la situazione generale stava migliorando, questa non ne stava raccogliendo i frutti. La Banca afferma che il 40% più povero della popolazione era molto meno insoddisfatta della classe media e non aveva dei motivi reali per scendere in strada. Questo contraddice chiaramente l’evento che ha scatenato il movimento di protesta in Tunisia, il Paese che ha vissuto per primo la Primavera araba.

Place Tahrir, Egypte, le 1 février 2011 (CC - Flickr - @Peta_de_Aztlan)
Place Tahrir, Egypte, 1 febbraio 2011 (CC – Flickr – @Peta_de_Aztlan)

Ricordiamo che il 17 dicembre 2010, Mohamed Bouazizi, un giovane venditore ambulante, si è dato fuoco a Sidi Bouzid per protestare contro il sequestro della sua merce da parte della polizia. Ciò ha scatenato un’enorme ondata di proteste che ha coinvolto centinaia di migliaia di manifestanti delle classi popolari, comprese le fasce più povere. Contrariamente a quanto afferma la Banca Mondiale, non sono state solo le classi medie a mobilitarsi.


Quadro dell’inizio della Primavera araba in Tunisia ed Egitto

Tunisia:

  • 17 dicembre 2010: Mohamed Bouazizi, un giovane venditore ambulante, si dà fuoco a Sidi Bouzid per protestare contro il sequestro della sua merce da parte della polizia. Inizio di una ondata di contestazioni.
  • 11 gennaio 2011: Gli scontri si estendono a Tunisi.
  • 14 gennaio: Fuga del presidente Ben Ali, al potere dal 1987, verso l’Arabia Saudita.

Egitto:

  • 25 gennaio 2011: Prima manifestazione sulla Piazza Tahrir al Cairo. Inizio di diverse settimane di mobilitazioni degli Egiziani in vista della caduta del regime.
  • 11 febbraio: Il presidente Hosni Moubarak, al potere dal 1981, si dimette.

Critiche alla diagnosi della Banca mondiale sulla situazione

Gilbert Achcar, autore di diversi libri imprescindibili a proposito della regione araba (Africa del Nord e Medio Oriente) e della Primavera Araba[2], ha dimostrato in uno studio ben documentato pubblicato nel 2020[3] che le affermazioni della BM sono infondate. Achcar dimostra che non è vero che il livello di disuguaglianza era più basso nella regione araba rispetto alla maggior parte di altri paesi del cosiddetto mondo in via di sviluppo. Basandosi su una serie di studi, sostiene che la disuguaglianza di reddito è aumentata bruscamente in Nord Africa e in Medio Oriente tra il 1980 e il 2011. I redditi delle classi lavoratrici sono diminuiti, mentre i più ricchi hanno visto aumentare i loro redditi e la loro ricchezza.

Ciò mette in discussione il modo altamente inaffidabile in cui la Banca Mondiale raccoglie le informazioni sui consumi e sui redditi delle famiglie. Prossimamente, mi occuperò in modo più generale dell’inaffidabilità dei dati forniti dalla Banca Mondiale sulla povertà (vedi: “Le divagazioni della Banca Mondiale sul numero di poveri del pianeta”, che sarà pubblicato lunedì 29 marzo). La Banca Mondiale basa i suoi dati, che presenta erroneamente come riflettenti la realtà, su indagini condotte su un campione molto limitato di famiglie. Le conclusioni della Banca sono chiaramente contraddette dai fatti.

Thomas Piketty, Facundo Alvaredo e Lydia Assouad, in lavori pubblicati tra il 2014 e il 2018, gli ultimi dei quali coprono il periodo tra il 1990 e il 2016, anche si oppongono alla tesi della Banca Mondiale secondo cui il livello di disuguaglianza è inferiore in Medio Oriente rispetto ad altre regioni del mondo. Secondo Piketty e i suoi due colleghi: “il Medio Oriente risulta essere la regione più diseguale del mondo, con la quota di reddito del decile superiore che raggiunge il 64%, rispetto al 37% dell’Europa occidentale, al 47% degli Stati Uniti e al 55% del Brasile”.[4]

Secondo Piketty, Alvaredo e Assouad, l’1% più ricco in Medio Oriente monopolizza una percentuale di reddito molto maggiore rispetto ad altre regioni o Paesi: “La quota di reddito del primo percentile è di circa il 30% in Medio Oriente, rispetto al 12% dell’Europa occidentale, al 20% degli Stati Uniti, al 28% del Brasile, al 18% del Sudafrica, al 14% della Cina e al 21% dell’India”.

I contributi di Gilbert Achcar e quelli di Thomas Piketty, Facundo Alvaredo e Lydia Assouad invalidano così chiaramente le spiegazioni della Banca Mondiale che quest’ultima ha dovuto reagire direttamente nel tentativo di screditare le critiche mosse nei suoi confronti. Per conto della Banca, Vladimir Hlasny e Paolo Verme, autori di studi criticati sia da Achcar che da Piketty, Alvaredo e Assouad, attaccano direttamente il primo, accusandolo di politicizzare il dibattito quando ci si dovrebbe limitare ad una discussione tecnica. Questi scrivono:

“La critica di Gilbert Achcar conclude che la ricerca dei protagonisti del dibattito sul ‘rompicapo della disuguaglianza nel mondo arabo’ dimostra una sistematica e intenzionale cecità nei confronti del fatto che ‘le loro ricette sono state responsabili… della tremenda esplosione socio-politica della Primavera araba e della prolungata destabilizzazione della regione” (p. 768). Noi sosteniamo che la conclusione di Achcar è errata e si basa su un’interpretazione fuorviante delle prove, una revisione selettiva degli studi esistenti, (…) una comprensione inadeguata della misurazione della disuguaglianza di reddito. Lo studio sembra essere un tentativo di politicizzare quello che del resto è stato un sano dibattito tecnico sulla disuguaglianza di reddito in Egitto.”[5]

Bisogna sottolineare che la critica di Gilbert Achcar si concentra sull’analisi errata della Banca Mondiale sulla regione araba in generale e sull’Egitto in particolare. Egli denuncia il fatto che la Banca adotti ampiamente i dati forniti da organismi ufficiali che sono al servizio dei regimi autoritari della regione, in particolare dell’Egitto. 

Gilbert Achcar ha risposto al contrattacco degli autori della Banca facendo giustamente notare che è “sorprendente che qualcuno possa sostenere l’affermazione che la discussione di un argomento come la validità dei dati ufficiali forniti sotto i regimi autoritari e la causa delle grandi rivolte popolari contro quegli stessi regimi sia puramente ‘tecnica’, e che solo gli econometristi dovrebbero impegnarsi in essa, escludendo gli economisti politici e tutti gli altri scienziati sociali – per non parlare degli attivisti sociali e politici che spesso conoscono i loro Paesi meglio degli ‘esperti’ stranieri”.[6]

Manifestation de soutien à Mohamed Bouazizi et aux prisonniers politiques, Paris, France, le 15 janvier 2011 (CC - Wikimedia)
Manifestazione in sostegno à Mohamed Bouazizi et ai prigionieri politici, Parigi, Francia, 15 gennaio 2011 (CC – Wikimedia)

Le contorsioni della Banca mondiale sulla disuguaglianza di reddito e sulla curva di Kuznets

Va sottolineato che la Banca non considera un livello di disuguaglianze in aumento come negativo. Infatti, questa adotta la teoria elaborata negli anni ‘50 dall’economista Simon Kuznets[7] secondo la quale un paese di cui l’economia decolla e progredisce deve necessariamente passare per una fase di aumento delle disuguaglianze.

Si tratta un po’ della promessa del paradiso dopo la morte che viene usata dalle classi dominanti per far accettare una vita fatta di sofferenza. Il bisogno di vedere aumentare le disuguaglianze è profondamente radicato alla Banca mondiale. Come prova, le parole del presidente della BM, Eugene Black, nell’aprile del 1961: “La disuguaglianza di reddito deriva necessariamente dalla crescita economica (che) dà alle persone l’opportunità di sfuggire a una vita di povertà”[8]. Tuttavia, gli studi empirici condotti dalla BM sotto la guida di Hollis Chenery negli anni ’70 hanno confutato le affermazioni di Kuznets.

A partire dal 1973, la BM ha iniziato a studiare la questione dell’ineguale distribuzione del reddito nei PVS come fattore che influenza le opportunità di sviluppo. Il gruppo di economisti guidato da Hollis Chenery dedicò molte energie a questo tema. Il principale libro dedicato dalla BM alla questione fu coordinato dallo stesso Chenery e si intitolava “Redistribuzione e crescita”,[9] pubblicato nel 1974. Chenery era consapevole che il tipo di crescita indotta dalla politica di prestito della Banca stava generando un aumento delle disuguaglianze. McNamara espresse in diverse occasioni la preoccupazione della BM: se non si fossero ridotte le disuguaglianze e la povertà, si sarebbero verificate ripetute esplosioni sociali, che avrebbero danneggiato gli interessi del mondo libero, guidato dagli Stati Uniti.

Tuttavia, dopo la partenza di Chenery nel 1982 e la sua sostituzione con Anne Krueger, un’economista conservatrice neoliberale, la BM abbandona completamente la preoccupazione sull’aumento o il mantenimento delle disuguaglianze, al punto da decidere di non pubblicare più dati su questo argomento nel Rapporto sullo Sviluppo Mondiale. Anne Krueger non ha esitato ad adottare la curva di Kuznets, ponendo l’aumento della disuguaglianza come condizione per l’avvio della crescita, sulla base del fatto che i risparmi dei ricchi possono alimentare gli investimenti.

Nel suo libro Il capitale nel XXI secolo[10], Thomas Piketty ha presentato una critica della curva di Kuznets molto interessante. Piketty ricorda che all’inizio lo stesso Kuznets dubitava della validità della sua curva, ma ciò non gli ha impedito di svilupparla in una teoria di lunga durata. Nel frattempo, le disuguaglianze hanno raggiunto un livello inedito nella storia dell’umanità. È il risultato di una dinamica del capitalismo globalizzato sostenuto dalle politiche internazionali incaricate dello “sviluppo” e dei governi che favoriscono l’1% più ricco a spese della stragrande maggioranza delle persone sia nel Nord che nel Sud del pianeta.

Analizzando le posizioni prese dalla Banca mondiale per spiegare la primavera araba, ci si rende conto che prevale ancora l’idea secondo cui un aumento delle disuguaglianze sia una cosa positiva per lo sviluppo. È per questo motivo che parlo di contorsioni della Banca mondiale a proposito della primavera araba. Di che si tratta?

La Banca Mondiale afferma che il livello di disuguaglianza era basso in tutta la regione araba e ciò la preoccupa, poiché è sintomatico di qualcosa che non funziona adeguatamente nel presunto successo economico della regione. Fedeli sostenitori della teoria di Kuznets, Vladimir Hlasny e Paolo Verme affermano: “Una bassa disuguaglianza non è un indicatore di un’economia sana”[12].

Gilbert Achcar riassume così la posizione adottata da Paolo Verme della Banca Mondiale : « secondo lo studio della BM del 2014, è l’avversione all’ineguaglianza, e non l’ineguaglianza in se, che deve essere condannata, poiché l’ineguaglianza deve inevitabilmente aumentare con lo sviluppo secondo la prospettiva di Kuznets.

Se la crescita del PIL fosse stata accompagnata da un effetto di reflusso, gli egiziani avrebbero avuto una visione più positiva dell’ineguaglianza, poiché “le persone difficilmente possono essere favorevoli alla disuguaglianza se il loro status e quello dei loro simili non migliora” (Verme et al., 2014: 97). Secondo la stessa logica, per conformarsi alla curva di Kuznets, l’Egitto ha bisogno di più ineguaglianza piuttosto che di meno[13].

Bisogna aggiungere che la Banca cerca di far credere, contro ogni evidenza, che i più poveri non sono stati tra le principali classi sociali a partecipare all’azione contro i regimi autoritari del momento e contro le loro politiche antisociali.

È importante per la Banca affermare ciò, poiché questa è incaricata di aiutare i poveri. Visto che nel mondo fantasioso immaginato dalla BM il livello di povertà era basso, non è possibile che siano stati i più poveri a sollevarsi in Tunisia e in Egitto nel gennaio 2011. Secondo gli esperti della Banca, sono state le classi medie che si sono mobilizzate per protestare contro l’insufficiente miglioramento delle loro condizioni di vita.  Dal punto di vista della Banca, l’insufficiente crescita era causa dello Stato, ancora troppo presente nell’economia e di cui una parte dei dirigenti gestiva male gli affari pubblici.

D’altra parte, la Banca ha bisogno di capri espiatori e, pertanto, non esita, dopo il rovesciamento dei capi di Stato, a dichiarare che erano autoritari e corrotti, anche se li ha sostenuti fino all’ultimo momento. Lo stesso vale per il FMI, che ha sostenuto questi stessi regimi autoritari fino all’ultimo.

La Banca Mondiale non ha cambiato orientamento nella regione araba

Si tratta allo stesso modo di promuovere partenariati pubblico-privati quando si sa bene che queste politiche favoriscono gli interessi dei capitalisti a spese dell’interesse pubblico. In questo senso la Banca scrive: “L’ambizione è quella di aprire i mercati alla concorrenza, di introdurre i partenariati pubblico-privato laddove funzionano e di rivitalizzare interi settori dell’economia che sono stati a lungo inefficienti”.

Nello stesso documento, la Banca afferma: «i governi devono (…) fornire tutte le possibilità ai giovani e permettergli di essere competitivi in un mondo sempre di più globalizzato”. L’obbiettivo, quindi, è di preparare i giovani ad essere competitivi nella lotta che questi dovranno affrontare gli uni contro gli altri per vendere la forza lavoro ai padroni delle imprese. Secondo la Banca Mondiale, le autorità pubbliche non dovrebbero considerare prioritaria la creazione di posti di lavoro dignitosi e utili alla società, perché sarà l’impresa privata a crearli.

Sempre nello stesso documento, si legge che le donne sono più “performanti”(!), bisogna quindi che lo Stato adotti politiche che gli permettano di inserirsi di più nel mercato del lavoro.[15] Successivamente, la Banca mondiale critica le politiche sociali che sono troppo costose: “I governi della regione dovrebbero anche ripensare il loro approccio alle politiche sociali. Queste sono sempre state costruite su sistemi di compensazione costosi e mal pensati. Per anni, i governi hanno privilegiato soluzioni politicamente facili ma economicamente disastrose di un contratto sociale in cui i prodotti e i servizi di base sarebbero stati ‘protetti’, senza mirare ai bisogni, in modo da acquistare le alleanze politiche e la ‘pace sociale’.” Quindi, si tratta di ridurre i sussidi sociali.

La Banca conclude il suo credo neoliberale con: “Per evitare un’altra decade persa, è necessaria una presa di coscienza in tutta la regione, dall’Atlantico al Golfo. È essenziale aprire la strada all’impresa privata, vincere la resistenza alla liberalizzazione delle economie e offrire ai giovani opportunità per liberare tutto il loro potenziale.” Amen!

È importante sottolineare e denunciare il fatto che la Banca Mondiale ha continuato a sostenere i regimi autoritari della regione in generale. In particolare, sostiene il regime criminale del maresciallo Abdel Fattah al-Sissi, in carica dal 2014, e considera il regime monarchico autoritario marocchino come un modello da seguire. Contrapponendosi alla Banca Mondiale, al FMI e ai governi della regione, il CADTM afferma che, per evitare un’altra decade fatta di speranze e disillusioni, è necessaria una presa di coscienza in tutta la regione, dall’Atlantico al Golfo. È importante che i popoli della regione continuino l’azione intrapresa dal 2011, auto-organizzandosi e istituendo governi che si discostino radicalmente sia dal sistema capitalista che dalla sua versione neoliberale, attuando profonde riforme sociali a favore della giustizia e della liberazione da ogni forma di oppressione, che sia patriarcale, religiosa o altro.

NOTE

[1] Banca mondiale, « Le mécontentement de la classe moyenne à l’origine du Printemps arabe », pubblicato il 21 ottobre 2015, https://www.banquemondiale.org/fr/news/feature/2015/10/21/middle-class-frustration-that-fueled-the-arab-spring consultato il 18 marzo 2021

[2] Gilbert Achcar, Le choc des barbaries, terrorismes et désordre mondial, Bruxelles, 2002, Éd. Complexe, 166 p., rééd. Paris, 10/18, 2004, 188 p. Gilbert Achcar, Le Peuple veut. Une exploration radicale du soulèvement arabe, Sinbad, Actes Sud, 2013, 431 p.

[3] Gilbert Achcar , « On the ‘Arab Inequality Puzzle’ : The Case of Egypt », pubblicato il 17 Marzo 2020, https://doi.org/10.1111/dech.12585 consultato il 20 marzo 2021

[4] Thomas Piketty, Facundo Alvaredo et Lydia Assouad, « Measuring lnequality in the Middle East 1990–2016 : The World’s Most Unequal Region ? » – AAP2019RIW.pdf pubblicato nel 2018, http://piketty.pse.ens.fr/files/AAP2019RIW.pdf consultato il 21 marzo 2021.
Nello studio di Piketty, Alvaredo e Assouad, gli autori menzionano la tesi della Banca mondiale: “Un certo numero di articoli hanno sostenuto che l’ineguaglianza dei redditi a livello nazionale non sembra essere particolarmente elevata rispetto agli standard internazionali, e quindi la fonte di insoddisfazione potrebbe trovarsi altrove (vedi in particolare Halsny e Verme, 2015, 2018).” È importante notare che Halsny e Verme hanno pubblicato diversi documenti per conto della Banca mondiale. Nello studio di Piketty, Alvaredo e Assouad, il Medio Oriente comprende la Turchia, l’Iran, l’Egitto, l’Iraq, la Siria, la Giordania, il Libano, la Palestina, lo Yemen e i paesi del Golfo (Arabia Saudita, Oman, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Kuwait). Il Medio Oriente include quindi paesi non arabi come la Turchia e l’Iran. Da notare che secondo Piketty, Alvaredo e Assouad: “Il periodo 1990-2016 ha visto una rapida crescita demografica nel Medio Oriente: la popolazione totale è aumentata di circa il 70%, passando da meno di 240 milioni nel 1990 a quasi 410 milioni nel 2016.” (p. 12). Il periodo 1990-2016 ha registrato una rapida crescite demografica nel Medio Oriente: la popolazione totale è aumentata di circa il 70%, passando da meno di 240 milioni del 1990 a quasi 410 milioni nel 2016.

[5] « Gilbert Achcar’s critical review concludes that the research of the protagonists of the ‘Arab Inequality Puzzle’ debate exhibits a systematic neoliberal bias and a wilful blindness to the fact that ‘their recipes were responsible…for the formidable socio-political explosion of the Arab Spring and the protracted destabilization of the region’ (p. 768). We argue that Achcar’s conclusion is erroneous and based on a misleading interpretation of evidence, selective review of existing studies, false grouping of scholars and an inadequate understanding of the measurement of income inequality. The review appears to be an attempt to politicize what has otherwise been a healthy technical debate on income inequality in Egypt. » Vladimir Hlasny et Paolo Verme, « On the ‘Arab Inequality Puzzle’ : A Comment », publié en janvier 2021 dans la Revue Development and Change de l’Institut des Etudes sociales de La Haye, p. 1

[6] It is astonishing indeed that anyone could uphold the claim that the discussion about a topic such as the validity of official data under authoritarian regimes and the causality of major popular uprisings against these same regimes is purely ‘technical’, and one which econometricians alone should engage in, to the exclusion of political economists and all other social scientists — not to mention social and political activists who often know more about their countries than foreign ‘experts’. Gilbert Achcar « Comment On the ‘Arab Inequality Puzzle’ : A Rejoinder », publié en janvier 2021 dans la Revue Development and Change de l’Institut des Etudes sociales de La Haye, p.2

[7] KUZNETS Simon. 1955. « Economic Growth and Income Inequality », American Economic Review, n°49, marzo 1955, p.1-28.

[8] Citato da DEVESH KAPUR, JOHN P. LEWIS, RICHARD WEBB. 1997. The World Bank, Its First Half Century, Volume 1, p. 171

[9] CHENERY Hollis B. et al. 1974. Redistribution with Growth, Oxford University Press for the World Bank and the Institute of Development Studies, London.

[10] Le capital au XXIe siècle, Le Seuil, 2013, 970 p.

[11] « low inequality was not an indicator of a healthy economy » Vladimir Hlasny et Paolo Verme, « On the ‘Arab Inequality Puzzle’ : A Comment », pubblicato a gennaio del 2021 sulla rivista  Development and Change dell’Istituto di Scienze sociali dell’ Haye, p. 4.

[12] Paolo Verme et al. (2014) Inside Inequality in the Arab Republic of Egypt : Facts and Perceptions across People, Time, and Space. Washington, DC : World Bank.

[13] Gilbert Achcar , « On the ‘Arab Inequality Puzzle’ : The Case of Egypt », pubblicato il 17 marzo 2020, https://doi.org/10.1111/dech.12585 in the view of the 2014 World Bank study, it is inequality aversion, not inequality per se, that should be deplored, since inequality must inevitably rise with development from a Kuznetsian perspective. Had GDP growth been accompanied by a trickle‐down effect, the Egyptians would have had a more positive view of inequality, as ‘people can hardly appreciate inequality if their own status and the status of their peers do not improve’ (Verme et al., 2014 : 97). Following the same logic, in order to conform to the Kuznets curve, it is more inequality rather than less that Egypt needs.

[14] Banca Mondiale : Dieci anni dopo « La primavera araba », evitare un altro decennio perso, pubblicato il 14 gennaio 2021, https://www.banquemondiale.org/fr/news/opinion/2021/01/14/mena-unbound-ten-years-after-the-arab-spring-avoiding-another-lost-decade , consultato il 23 marzo 2021, notare che il testo della Banca è firmato da Ferid Belhaj vice presidente della regione del Medio oriente e dell’Africa del Nord alla BM. Trovate la sua biografia ufficiale sul sito della Banca : ha rappresentato l’istituzione in diversi posti del mondo ed è stato in carica in Marocco, Libano, Siria, Giordania, Iraq e Iran. https://www.banquemondiale.org/fr/about/people/f/ferid-belhaj

[15] Christine Vanden Daelen, « Quand la Banque mondiale s’intéresse aux femmes… », publié le 26 février 2021, https://www.cadtm.org/Quand-la-Banque-mondiale-s-interesse-aux-femmes ainsi que « Féminismes et Banque mondiale : un mariage « contre-nature » ? », publié le 11 février 2021, https://www.cadtm.org/Feminismes-et-Banque-mondiale-un-mariage-contre-nature Lire également Denise Comanne, « Quelle vision du développement pour les féministes », publié le 28 mai 2020, https://www.cadtm.org/Quelle-vision-du-developpement-pour-les-feministes.