TRUMP E IL TAV

di Matteo Bortolon da Il Manifesto dell’11 marzo 2017

Pochi giorni dopo l’insediamento di Trump come 45° presidente USA, nel corso di un dibattito televisivo, il noto politologo bellicista Edward Luttwak litigava col brillante Andrea Scanzi sui primi provvedimenti del presidente. L’anziano esperto di “sicurezza strategica”, in visibile difficoltà di fronte ad una disapprovazione così corale di fronte alle misure anti-Islam del neopresidente, liquidava la questione dicendo che si tratta per la Casa Bianca di una questione politicamente marginale rispetto al Piano Infrastrutture del programma di Trump.

Molto probabilmente ha ragione. Le ambizioni del nuovo eletto sono mostruose. A fronte di una forte enfasi su deregolamentazione di vari settori, uno punti chiave del suo programma è un rilancio di opere pubbliche senza eguali.

“È giunto il tempo di un nuovo programma di ricostruzione nazionale. […] Chiederò al congresso di approvare una legislazione per un trilione di dollari in investimenti in infrastrutture civili negli Stati Uniti finanziate da capitale pubblico e privato.” (Trump, 28 febbraio, ad una sessione congiunta del Congresso). L’uomo non è incline alla moderazione verbale. È vero che anche la clinton aveva promesso un piano da 500 miliardi di dollari in infrastrutture, dando un indubbio rilievo al tema nella campagna elettorale del 2016; il piano del candidato democratico prevedeva 275 miliardi di spesa del governo diretta, 25 miliardi in una banca nazionale per le infrastrutture che avrebbe dovuto raccattare altri 200 miliardi da privati. Il vincitore raddoppia: ben mille miliardi (anche se le sue cifre sono un po’ variabili a seconda delle occasioni).

La domanda è ovvia: chi mette tutti quei soldi? Secondo il Tesoro USA, attualmente l’attuale debito pubblico statunitense si arrampica verso i 20mila miliardi (esattamente 19.959). La testarda ostilità di gran parte dell’establishment repubblicano ad una crescita di spesa pubblica può causare dei problemi la nuovo Presidente. Certamente sarà dura per loro opporsi se il piano viene venduto come foriero di ricadute occupazionali sui loro territori. Ma che il debito su questa strada debba aumentare è certo.

Se il livello di tali cifre venisse confermato il Dipartimento per il Trasporti diventerebbe un dicastero assai più di adesso, con lo strano personaggio che Trump vi ha posto a capo. Il nuovo ministro è Elaine Chao, già segretario al Lavoro nel governo Bush jr., che avevà già lavorato nelle amministrazioni Reagan e Bush sr. La bizzarria è che si tratta di una emigrata nata a Taiwan e successivamenta naturalizzata che pare avere dei legami con elementi del governo cinese, vecchia amica dell’ex presidente Jiang Zemin, con affari personali in aziende copartecipate dalla Repubblica popolare… suo marito, il senatore Mitch McConnell, è noto per essersi speso per normalizzare le relazioni con la Cina. Ma a parte tali legami asiatici (che hanno fatto infuriare una testata conservatrice ma anti-establishment come WND), il curriculum non corrisponde molto al profilo populista associato a Trump: ex vice presidente di Bank of America, posizione di rilievo in Citibank, Dole (la più grande azienda al mondo nel settore della frutta), News Corp (derivazione dall’impero mediatico di Murdoch, proprietaria del Wall Street Journal), Wells Fargo (la multinazionale dei servizi finanziari di San Francisco, che supera Citigroup e Morgan Stanley come dimensioni di affari secondo Fortune). Per una amministrazione che ambisce ad essere diretta espressione del popolo non c’è male.

Le esperienze finanziarie della signora Chao forse saranno utili anche per un’altra ragione. Il piano cofirmato dall’economia di Trump Peter Navarro cita come causa del sottosviluppo infrastrutturale la “carenza di innovative opzioni finanziarie”. Il convolgimento del settore privato va intravedere la solita partnership pubblico-privato a forza di architettura finanziaria pro-business. In tal caso c’è poco da stare allegri: cosa sia il modello TAV per le grandi opere e quanto faccia risparmiare lo Stato lo abbiamo già visto.