Congresso nazionale e internazionale sulle banche centrali, il sistema finanziario e lo sviluppo economico.

27 novembre Eric Toussaint e Pablo Laixhay


Dal 23 al 29 novembre, il CADTM, si è riunito a Bogotà, la capitale colombiana, per partecipare ad una serie di forum, riunioni, workshops e conferenze. Questi incontri sono stati anche l’occasione per il CADTM AYNA di rincontrarsi per la loro assemblea regionale annuale, tenutasi il 23 e il 24 novembre. Durante l’assemblea, i membri del CADTM presenti hanno partecipato a numerose attività tra cui il Congresso nazionale e internazionale sulle banche centrali, il sistema finanziario e lo sviluppo economico. Il seguente riassunto realizzato da Pablo Laixhay è un ottimo modo per aggiornarsi sulla situazione economica e finanziaria internazionale.


Intervento di Éric Toussaint sul ruolo delle banche centrali nella policrisi capitalistica – Foto CADTM


Nel contesto del Congresso nazionale e internazionale sulle banche centrali, il sistema finanziario e lo sviluppo economico, organizzato a Bogotà il 23 e 24 novembre 2023 con la partecipazione attiva della Federazione nazionale dei sindacati del settore bancario colombiano (FENASIBANCOL) e dell’Unione nazionale dei dipendenti del settore bancario (UNEB), Éric Toussaint è stato invitato ad aprire la seconda giornata del congresso. Il suo intervento di 45 minuti, tenuto davanti a circa un centinaio di partecipanti provenienti dai sindacati del settore bancario di Colombia, Cile, Brasile, Bolivia, Argentina, Uruguay, Paraguay, Costa Rica, El Salvador, Perù, si è concentrato sul ruolo delle banche centrali di fronte alla “policrisi”.

Il testo che segue, diviso in quattro grandi punti, è tratto dal suo intervento.

SOMMARIO
  • 1) Gli obiettivi della Banca Centrale al servizio della nazione
  • 2) La situazione socioeconomica internazionale
  • 3) La situazione attuale e la policrisi
  • 4) Alba di una nuova crisi del debito

1) Gli obiettivi della Banca centrale al servizio della nazione

Le banche centrali hanno un ruolo chiave da svolgere per contribuire allo sviluppo economico e sociale. Ciò implica, in particolare, “monetizzare il debito” acquistando direttamente dallo Stato titoli di debito sovrano o da enti sovrani per finanziare le politiche pubbliche. Si tratta anche di sostenere gli enti di credito pubblico nel finanziamento delle piccole entità, piccole imprese, cooperative e altri attori della vita economica del paese. A tal fine, è fondamentale, a livello dei movimenti sindacali tra gli altri, lottare per porre fine al dannoso dogma neoliberale dell’autonomia delle banche centrali rispetto al potere esecutivo e legislativo, che serve solo a legittimare la loro subordinazione al grande capitale.

Le Banche Centrali devono rendere conto delle loro iniziative ai governi eletti e alla cittadinanza, non ai grandi azionisti delle grandi banche e delle grandi aziende. Attualmente, esiste un vincolo opprimente tra i dirigenti delle grandi banche commerciali e i dirigenti delle Banche Centrali che li porta logicamente a favorire gli interessi particolari dei grandi azionisti delle banche private e ad aiutarli in caso di difficoltà, al fine di evitare il fallimento e, spesso, incondizionatamente.

Questo vincolo deve essere spezzato.

2) La situazione socioeconomica internazionale

Non si può comprendere il ruolo delle banche centrali senza analizzare l’evoluzione della situazione internazionale. Due rapporti recenti provenienti da istituzioni finanziarie internazionali evidenziano l’evoluzione preoccupante della situazione internazionale. Da una parte, secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale, tra il 2019 e il 2022, 95 milioni di persone in più sono cadute nella povertà estrema a livello internazionale. Dall’altro lato, secondo le previsioni economiche mondiali (World Economic Outlook) del FMI pubblicate nell’aprile 2023, mentre nel 2008 sono stati necessari 80 anni per dimezzare la differenza di reddito pro capite tra i paesi del Sud e del Nord, i calcoli attuali indicano ora che sono necessari 130 anni per lo stesso progresso. Queste due constatazioni sottolineano il deterioramento delle disuguaglianze tra Nord e Sud, tra le classi capitaliste e le classi popolari, tra i paesi definiti “in via di sviluppo” e quelli definiti “sviluppati” e la bancarotta di queste due istituzioni che dovrebbero lottare contro la povertà e per la stabilità economica globale.

La situazione attuale e la “policrisi”

Il sistema capitalista è entrato in una nuova crisi generalizzata.  Si parla oggi di una crisi capitalista multiforme o di “policrisi”:

  • La crisi sanitaria, aggravata dalle politiche neoliberiste imposte dalle istituzioni finanziarie che indeboliscono da decenni i sistemi di salute pubblici.
  • La crisi ecologica e climatica, che tocca in primo luogo i paesi del Sud e i paesi più vulnerabili.
  • La crisi dei conflitti armati (in Ucraina, in Israele/Palestina, nello Yemen, in Sudan, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, ecc.) legati agli interessi geopolitici, geo-strategici ed economici delle potenze imperialiste.
  • La crisi commerciale internazionale che coinvolge una serie di sanzioni che frammentano un capitalismo basato sulla fluidità degli scambi.
  • La crisi di legittimità politica delle istituzioni e delle democrazie messe in discussione dall’avanzata dei movimenti di estrema destra che si basano sul fallimento e sugli insuccessi di queste stesse democrazie in Argentina, nei Paesi Bassi, in Italia, negli Stati Uniti e in molte altre parti del mondo. Questa crisi porta ad un indurimento dell’esercizio di potere che si applica sempre di più in maniera autoritaria marginalizzando il potere legislativo e concentrando il potere esecutivo… l’esempio della democrazia francese è rivelatore.
  • La crisi del capitalismo mondiale con un tasso di crescita sempre più limitato. Anche la Germania, quarta potenza economica mondiale, è oggi in recessione.

L’alba di una nuova crisi del debito

Infine, la congiuntura attuale e la combinazione di queste diverse crisi ci portano verso una nuova crisi del debito sovrano che colpirà tanto i paesi del Nord come quelli del Sud, anche se questi soffriranno più duramente. La dimensione storica della crisi del debito è particolarmente importante perché si inserisce in una seria di crisi. Infatti, nel corso degli ultimi due secoli, si sono verificate diverse grandi crisi del debito.

Innanzitutto, nel 1826, i paesi della periferia, come la Grande Colombia di Simon Bolivar, si erano pesantemente indebitati presso le banche di Londra, il centro imperialista dominante dell’epoca, per finanziare le lotte per l’indipendenza. In questo modo, entrarono in un nuovo ciclo di subordinazione e dipendenza dai creditori e furono spinti a vendere le loro risorse per ripagare i prestiti. A seguito della crisi bancaria di Londra del 1825 e dell’arresto brusco dei flussi di capitali dal centro verso la periferia, questi paesi entrarono in default e affrontarono le incursioni armate delle potenze imperialiste, venute a imporre i pagamenti. Questa logica ciclica (flusso di capitali, difficoltà economiche, default, pressioni imperialiste) si ripeté più volte durante il XIX secolo.

Nuovamente, a partire dagli anni ’60, i paesi dell’America Latina entrarono in una nuova fase di indebitamento massiccio, spinti in particolare dal FMI e dalla Banca Mondiale. Questa fase subì un duro colpo negli anni ’80 quando i prezzi delle materie prime crollarono sui mercati internazionali e, nello stesso periodo, la Federal Reserve (FED) decise unilateralmente di aumentare i tassi di interesse a cui erano indicizzati i prestiti dei paesi del Sud. La storia successiva è nota: interventi del FMI, diffusione dei programmi di aggiustamento strutturale, privatizzazioni, smantellamento dello stato sociale, ondate di liberalizzazioni, decenni persi, ecc.

La comprensione di questi cicli di indebitamento e crisi del debito è particolarmente importante per capire la situazione attuale. Oggi, i paesi del Sud sono più indebitati che mai. Due terzi dei paesi classificati a basso reddito sono in condizioni di sovraindebitamento e attualmente 54 paesi del sud si trovano in difficoltà finanziaria. Il FMI si vanta di una capacità di prestito senza precedenti, con un aumento dei fondi di 650 miliardi di dollari e interventi in 96 paesi dal 2020. Le sue azioni sono sempre accompagnate da ulteriori privatizzazioni, tagli ai bilanci pubblici, liberalizzazione delle economie, ecc.

È in questa congiuntura che i paesi del Sud sono stati colpiti negli ultimi tre anni da diversi shock esterni:

  • La pandemia da COVID, originatasi in Cina, che ha colpito inizialmente l’Europa occidentale e gli Stati Uniti, per poi colpire brutalmente i paesi in via di sviluppo. Questa crisi è stata aggravata dal indebolimento dei sistemi sanitari come già spiegato, dall’oligopolio delle aziende farmaceutiche che ha ostacolato la distribuzione dei vaccini, dalla mancata imposizione sulle multinazionali che traggono vantaggio dalla crisi, costringendo gli Stati a ricorrere a un maggiore indebitamento, e dal fatto che molti paesi hanno basato le proprie economie sul turismo, che si è fermato bruscamente.
  • L’impatto della guerra in Ucraina, che ha portato a un’esplosione dei prezzi dei cereali, dei fertilizzanti e dei combustibili, ulteriormente aggravata dalla speculazione. I paesi del Sud, seguendo l’agenda di liberalizzazione delle loro economie, sono fortemente dipendenti da queste importazioni e sono stati quindi profondamente colpiti. Ciò ha portato a sospensioni di pagamento da parte di paesi come lo Sri Lanka (dipendente dalle importazioni di cereali e combustibili e dal settore turistico), il Ghana o l’Argentina.
  • L’aumento dei tassi di interesse delle banche centrali del Nord è un altro fattore. Tra il 2007 e il 2022, la BCE e la Federal Reserve hanno iniettato migliaia di miliardi di dollari a tassi molto bassi nel sistema finanziario internazionale per mantenerlo a galla. Tuttavia, di fronte all’inflazione del 2022, queste due istituzioni sono passate dal quantitative easing al quantitative tightening e hanno aumentato i loro tassi di interesse fino al 5%. Le banche private e i fondi d’investimento hanno seguito l’esempio, rifiutandosi di prestare a questi paesi a tassi bassi e imponendo anch’essi tassi esorbitanti. Le conseguenze sono considerevoli per i paesi del Sud pesantemente indebitati, che ora devono pagare tassi di interesse dell’8%, 10%, 15%, 20% e sono quindi completamente soffocati.

Senza sorpresa, questa serie di shock sta precipitando in una nuova crisi del debito, che colpirà tanto più duramente i paesi dipendenti dalle importazioni di combustibili fossili e cereali. Anche i paesi del Nord, molto più indebitati in percentuale rispetto ai paesi del Sud, non ne saranno esenti e rischiano di affrontare profonde misure di austerità, come abbiamo già visto in Grecia e a Cipro negli anni 2010, oltre a un aumento dei movimenti di estrema destra che sfruttano l’impoverimento delle classi medie e popolari per imporre politiche populiste, razziste e anti-immigratorie.

La sfida da affrontare è quindi colossale e le banche centrali hanno un ruolo cruciale da svolgere. È urgente oggi sottrarle al controllo del grande capitale commerciale, industriale e finanziario per metterle al servizio dei popoli e dell’interesse generale. Le loro missioni devono essere urgentemente riviste per consentire massicci investimenti pubblici finalizzati alla lotta contro le crisi climatiche e sociali. Questi investimenti sono indispensabili e inevitabili se vogliamo evitare o limitare la catastrofe. Per questo sono necessari cambiamenti strutturali radicali, oltre all’attuazione di diverse misure come la socializzazione delle banche private, ovvero la trasformazione sotto il controllo dei cittadini delle banche private in servizi pubblici, l’imposizione di missioni di interesse pubblico alle grandi compagnie assicurative, la creazione di registri patrimoniali per identificare le ricchezze dei più ricchi, l’implementazione di misure redistributive a favore delle politiche di giustizia sociale, ecc.

Scontri con il grande capitale finanziario sono inevitabili e necessari per l’implementazione di politiche progressiste, anticapitaliste, eco-socialiste e femministe.

Riassunto di Pablo Laixhay, traduzione di Giulia Piomponi