Carta dei comitati per l’audit sul debito locale
4 marzo 2018
Siamo donne e uomini di comitati, associazioni e realtà territoriali attivi sui temi dei diritti sociali, dei beni comuni, dei servizi pubblici e della democrazia.
Da tempo stiamo assistendo al progressivo svuotamento del ruolo di prossimità ai bisogni delle persone da parte dei Comuni, che, tra forti riduzioni dei trasferimenti di risorse (9 miliardi in meno negli ultimi sette anni) e vincoli dettati dal patto di stabilità interno e dal pareggio di bilancio
(-32% di spesa per investimenti), hanno drasticamente ridotto la loro funzione pubblica e sociale e si sono convertiti, consapevolmente o meno, in facilitatori dell’espansione dei grandi interessi finanziari sulle comunità territoriali di riferimento.
Tutto questo risponde a un contesto più generale, all’interno del quale la crisi economico-finanziaria innescata dal fallimento delle maggiori banche statunitensi ed europee è stata riversata sulla finanza pubblica. Il fallimento della finanza speculativa si è trasformata così in un successo. A livello globale le banche private, i loro proprietari e manager superpagati sono saldamente in sella, più ricchi e potenti di prima, mentre la crisi del debito pubblico, da loro causata, è utilizzata come “shock” per poter approfondire le politiche liberiste di privatizzazione della ricchezza collettiva, la cui parte preponderante -patrimonio pubblico, beni comuni, servizi pubblici locali- è in Italia in mano ai Comuni e alle comunità territoriali.
La trappola del debito è quella che ha permesso, nonostante il contributo dei Comuni all’indebitamento pubblico nazionale non superi il 2%, di scaricare sugli stessi la gran parte delle misure relative al rispetto dei vincoli finanziari, dettati dal Fiscal Compact a livello europeo e dalla conseguente riforma dell’art. 81, che introduce il pareggio di bilancio nella Costituzione.
Il debito agisce come un boomerang sui Comuni italiani, che più di tutti pagano per questa crisi: se a livello nazionale l’Italia spende ogni anno il 5 % del suo PIL per rimborsare i tassi di interesse sul debito (terza voce di spesa dopo la previdenza sociale e la sanità), la spesa dei Comuni arriva al 12 % delle loro entrate per quelli più grandi e addirittura al 25% per quelli più piccoli.
A fronte di questo quadro, riteniamo che, senza un’azione incisiva, a livello locale e nazionale, di contrasto alla trappola del debito e senza una riappropriazione collettiva di quello che a tutti appartiene, a partire dalla ricchezza sociale prodotta, nessun cambiamento in direzione di un altro modello di città, di territorio e di società sia praticabile.
Si tratta di mettere in campo un nuovo percorso di democrazia partecipativa, che veda le singole persone e i comitati locali quali reali portatori di cambiamento nell’approccio alla finanza pubblica.
Un percorso che abbiamo intrapreso con l’assemblea di Parma del novembre 2017, ma che porta con sé un bagaglio esperienziale che viene da lontano e che ha messo in rete, nel rispetto delle singole autonomie e dei rispettivi orientamenti e convincimenti, tutte le realtà che da anni studiano e contrastano il debito: dall’avvio del Forum per una nuova finanza pubblica e sociale negli anni 2013-2014 al primo incontro nazionale ComunexComune a Livorno nel gennaio 2016, dall’adesione collettiva alla rete internazionale CADTM (Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi) alla nascita di CADTM Italia, dalla stesura collettiva della Carta di Genova (scarica in pdf) nel luglio 2016 alla partecipazione alla III Assemblea internazionale dei Movimenti popolari organizzata da Papa Francesco nel novembre dello stesso anno.
Una lunga marcia di sedimentazione e potenziamento dell’auditoria locale, che garantirà energia, saperi e pratiche per attivare presto anche una Commissione nazionale di audit indipendente e popolare sul debito pubblico nazionale.
Sono queste le ragioni che ci hanno spinto ad avviare, in ogni città e in ogni territorio in cui siamo presenti, esperienze di audit, ovvero d’indagine indipendente e popolare sul debito dei Comuni, per contrastarne concretamente la legittimità e liberare risorse in direzione del soddisfacimento dei bisogni fondamentali delle comunità territoriali.
Per questo, nel riconoscimento reciproco delle nostre esperienze, abbiamo deciso di coordinare le nostre attività secondo i seguenti principi:
- Ogni nostra esperienza territoriale si riconosce nei principi e negli obiettivi declinati a livello nazionale dalla Carta di Genova 2016 e dà il proprio contributo alla costruzione di una Commissione nazionale di audit indipendente e popolare sul debito pubblico nazionale.
- L’attività di audit che avviamo ha l’obiettivo di smascherare la trappola ideologica del debito, mettendo in discussione le compatibilità date dal punto di vista dei vincoli economici e finanziari e dimostrando come l’attuale configurazione della finanza locale pregiudichi pesantemente i diritti sociali e metta a rischio servizi pubblici e beni comuni. Non è quindi, e solo, un’ipotesi di riconversione della spesa pubblica, bensì uno strumento di conflitto per un altro modello di città e di comunità territoriale.
- L’attività di audit che avviamo è uno strumento per costruire la partecipazione diretta delle persone alle scelte che riguardano una città o un territorio; è di conseguenza un’attività pubblica e partecipativa, che prevede assemblee pubbliche e informazione costante su ogni tappa raggiunta nella propria attività.
- L’attività di audit che avviamo è uno strumento di conoscenza e azione per contrapporre un altro modo di valutare il benessere di una comunità territoriale: a chi oggi misura la “salute” di un Comune sul rispetto del patto di stabilità e del pareggio di bilancio in termini finanziari, vogliamo contrapporre il “pareggio di bilancio sociale”, ovvero la misura di quanti diritti fondamentali aspettano di ricevere risposta e come utilizzare le risorse collettive per raggiungere questo obiettivo.
Sulla base di questi principi, dichiariamo di voler agire per:
a) intraprendere a livello locale un’indagine indipendente e popolare sul debito, allo scopo di stabilire in quale contesto e per quali finalità i debiti siano stati contratti dalle varie amministrazioni che si sono succedute e quanto e come quelle risorse siano state spese per gli interessi generali delle comunità territoriali;
b) decidere collettivamente, sulla base di questa indagine, quale parte dei debiti contratti sia da ritenersi illegale, illegittima o insostenibile, e deliberare come agire in merito;
c) essere funzionali a tutte le battaglie in corso per i diritti sociali, la riappropriazione sociale dei beni comuni, la gestione partecipativa dei servizi pubblici, allo scopo di fornire delle vie di uscita concrete ai problemi di finanza pubblica locale che si ripercuotono sulla cittadinanza.
La nostra azione nei territori intende rivendicare:
- Trasparenza dei bilanci comunali: se il debito è pubblico, ogni comunità territoriale deve essere messa a conoscenza di ogni operazione fatta in tale direzione, per poter sapere come, da chi e per quali finalità è stato contratto. In questo senso, tutta la documentazione riguardante il bilancio, le modalità di finanziamento, i contratti per mutui attivi, i derivati, deve essere accessibile alla cittadinanza, in applicazione delle leggi vigenti in materia, e deve essere presentata in maniera semplice e comprensibile a tutti;
- Trasparenza dei bilanci delle società partecipate: tutti gli enti locali hanno da tempo esternalizzato la gran parte delle loro attività, costituendo società partecipate.. Anche sui bilanci di queste va garantita la totale trasparenza, sempre in applicazione delle leggi vigenti, e il fatto che siano società per azioni, non può esimere gli enti locali dal dover rendere di pubblica conoscenza l’impiego delle risorse collettive, nelle stesse modalità di quelle relative ai bilanci comunali;
- Disobbedienza al patto di stabilità e al pareggio di bilancio: gli enti locali, invece di esserne gli automatici esecutori, devono divenire luoghi di contrasto ai vincoli imposti dal patto di stabilità e dal pareggio di bilancio e, associandosi fra loro con il coinvolgimento delle popolazioni, devono chiederne l’abolizione. In ogni caso, devono sospendere i pagamenti dei debiti finché la Commissione di audit non ne abbia verificato l’origine e la legittimità;
- Riduzione del debito: va sviscerato contratto per contratto, verificandone la legittimità sia in termini di normativa, sia in termini di finalità della spesa; nel contempo, vanno drasticamente rivisti tutti i tassi di interesse applicati, anche in considerazione del fatto di come le banche ricevano liquidità dalla Banca Centrale Europea a tassi di interesse prossimi allo zero e finanzino con quei soldi gli enti locali a tassi di interesse ben superiori, realizzando profitti da una mera “partita di giro”;
- Socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti: per riaprire la strada ad una nuova finanza pubblica e sociale in un paese che ha privatizzato tutto il settore bancario e finanziario, diviene centrale la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, attraverso lo scorporo della parte relativa al risparmio postale dei cittadini (250 miliardi), per utilizzarlo come leva per il finanziamento a tasso agevolato degli investimenti degli enti locali e per investimenti in progetti autoprodotti dalle comunità territoriali;
- Garanzia della spesa sociale: i Comuni devono rifiutarsi di assegnare la priorità al pagamento del debito e all’osservanza del pareggio di bilancio rispetto alla spesa per il welfare, la quale, garantendo diritti, servizi e beni comuni, non può mai essere inferiore al necessario, né pregiudicata da nessun vincolo finanziario. In ordine a garantire le risorse necessarie, va avviata una revisione della fiscalità locale che deve tornare progressiva, secondo i dettami costituzionali, e prevedere imposte che prelevino dai grandi redditi e relativi patrimoni.
Si tratta semplicemente di rimettere il destino delle comunità territoriali nelle mani delle stesse, rivendicando un altro modello di città, di territorio e di democrazia.